I giovani, la sfiducia, le Marche

corteo partenza 2Giovani esclusi, precari, neet, fuori dalle decisioni che contano, ignorati dalle leggi, dalle dinamiche di un Stato che, al di là dei proclami e delle pie intenzioni, è più occupato a “conservare” lo status quo e “contenere” i privilegi (contrabbandati per diritti acquisiti) dei più attempati. Risultato: prospettive incerte, mediocrità passate per novità eccentriche, conflittualità latenti e diffuse, che esplodono periodicamente, a macchia di leopardo.

Nei giorni scorsi l'argomento è stato trattato, in maniera incisiva ed interessante, sulle colonne del Corriere Adriatico da Carlo Carboni, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all'Università Politecnica delle Marche. Spiega Carboni, nell'illustrare quello che è un vero e proprio scontro generazionale, che l'Italia è divisa in due. Gli over 65, più organizzati e meglio rappresentati, e i giovani con minori tutele, lavori precari, la pensione un miraggio. Lavorano il triplo, guadagnano meno delle generazioni precedenti. Il che, vero in tutta Italia, nelle Marche, regione notoriamente tra le più longeve d'Europa, è fenomeno ancor di più accentuato. Dice ancora Carboni che per far ripartire quello che lui definisce "marchingegno" occorre allacciare un dialogo tra le generazioni anche perché le sfide del mondo globalizzato partono dalle conoscenze tecnologiche. E chi meglio dei giovani, connessi h24, padroni delle nuove tecnologie e di un sapere spesso sconosciuto ai più, con significative esperienze di studio e di lavoro, sovente maturate anche all'estero,a conoscenza delle lingue, con un'istruzione che meglio si adatta ai tempi oltre alla freschezza mentale per decifrare il futuro, possono risultare vincenti?

Il mio non vuole essere un discorso aereo o qualunquista, tanto per guadagnare qualche simpatia. Troppo spesso si ricorre, in varie salse, ai giovani per promuovere, in realtà, sé stessi. In un tripudio di immagine, vuoto ed obsoleto. Tutt'altro. Il mio è un invito a tutti affinché si chieda e pretenda più spazio. Ma l'iniziativa spetta, in prima istanza, proprio ai più giovani. Niente è più potente e foriero di risultati e di prospettive del protagonismo attivo, delle proposte concrete, dell'ascoltare per essere ascoltati. Oggi, per lo più, si chiacchiera, non si discute. Non si dialoga, ma ci si elide verbalmente a vicenda. Invertiamo la tendenza!

Dando un'occhiata al sondaggio online Generation What, lanciato in tutta Europa e al quale in Italia hanno preso parte per ora oltre 80mila ragazzi, si evince che il 31% degli intervistati tra i 18 e i 34 anni giudica il proprio stipendio per nulla in linea alle competenze professionali. Circa il 20% non è soddisfatto del lavoro che fa perché pensa che la sua formazione sia superiore. Un 44% dei giovani tra i 18 e i 34 anni pensa che la scuola non prepari efficientemente al mondo del lavoro e solo il 33% è convinto che a scuola venga premiato il merito. L'81% è convinto che la società non offra la possibilità di dimostrare quanto realmente valga. Il 66% annuncia che prenderebbe parte a un movimento per mandare a casa l'attuale classe dirigente. La sfiducia è tanta, ma questa non si deve trasformare in abbandono. L'auspicio è che diventi allora vera forza riformatrice; che in democrazia significa dissentire e dibattere. Fare la sintesi delle varie sensibilità, stando anche pronti a rinunciare a qualcosa oggi; forse se se ne può trarre un beneficio per tutti domani.

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