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SFIDA MUSICALE SENIGALLIA
Otto junior band si sono sfidate nella Chiesa dei "Cancelli" a Senigallia.
Sono state stupende. Finalmente della buona musica e dei musicisti eccezionali.
Tutti giovani e promettenti. Su tutte (perdonate il campanilismo) la Band di Castelferretti.
Ma che dico: "Una vera orchestra". C'è da esserne orgogliosi. Complimenti alla ANBIMA Provinciale, perfetta organizzatrice.
Otto junior band si sono sfidate nella Chiesa dei "Cancelli" a Senigallia.
Sono state stupende. Finalmente della buona musica e dei musicisti eccezionali.
Tutti giovani e promettenti. Su tutte (perdonate il campanilismo) la Band di Castelferretti.
Ma che dico: "Una vera orchestra". C'è da esserne orgogliosi. Complimenti alla ANBIMA Provinciale, perfetta organizzatrice.
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E SE ANCHE IL TEDESCO SI MUOVE DALLE SUE POSIZIONI......!?
Se avete un pò di pazienza a leggere l'articolo riportato, forse ci possiamo rendere conto che anche i teutonici tedeschi possono cambiare opinione. Segno che la situazione è veramente grave e che si impongono delle scelte drastiche e innovative, abbandonando dogmi del tutto inattuali.
Solo Letta e Saccomanni sembrano non accorgersi della realtà e galleggiano nell'acquittrino! Il bello è che nello stagno ci siamo noi, con le nostre famiglie.
Debito bene, ma anche male
Una conferenza europea sul debito sovrano, per affrontare il problema dello stock, cioè la quantità di debito accumulato nell’area euro che le politiche di austerità da sole non riusciranno mai a smaltire. La proposta arriva da fonte inaspettata, niente meno che il presidente dell’Ifo, l’Istituto di ricerche economiche di Monaco, sì, proprio Hans-Werner Sinn, l’economista che con quella barba sembra un capitano di lungo corso, un bastione della ortodossia tedesca, implacabile fustigatore dei peccatori mediterranei (lo scorso fine settimana ha scandalizzato tutti in una conferenza a Philadelfia mettendo sul banco degli accusati ancora una volta la Grecia). L’idea è stata rilanciata da Wolfgang Münchau del Financial Times il quale, nel suo blog eurointelligence.com, ricorda di non essere quasi mai d’accordo con Sinn, ma se non si trova una soluzione, la stagnazione di lungo periodo evocata da Larry Summers diventa realtà.
Il dibattito sembra inattuale perché siamo in piena bonaccia: lo spread della Germania con l’Italia e la Spagna viaggia attorno ai 200 punti base e il costo del debito è modesto, anche perché la Banca centrale europea mantiene i tassi d’interesse vicini a quota zero. Fabrizio Saccomanni, ministro italiano dell’Economia calcola un risparmio di 5,3 miliardi e stappa champagne. Una buona notizia, però vengono pur sempre pagati ben 83,9 miliardi di euro (stima del settembre 2013). Il Sole 24 Ore ha precisato che a rigore il vero risparmio si fa sui titoli ancora da emettere e i suoi calcoli sono ben più modesti: 1,5 miliardi, quanto basta per compensare il mancato incasso dell’Imu.
Il problema oggi, per l’Italia come per la Spagna e la Grecia si chiama disoccupazione. Vero, dice l’Ifo, ma attenzione proprio questo rischia di diventare la miccia per la nuova crisi. Il rapporto dell’Istituto tedesco definisce insostenibili i livelli di disoccupazione spagnoli e greci, mentre per la congiuntura economica italiana usa un aggettivo che non lascia equivoci: “Catastrofica”. I nemici dell’austerità, a cominciare dall’Amministrazione americana, chiedono di allentare le redini: è quel che ha detto il segretario al Tesoro, Jack Lew, nel suo viaggio a Berlino. Sinn, al contrario, è un sostenitore del rigore finanziario e, tra l’altro, ha trovato un aiuto in Robert Rubin, il banchiere che è stato segretario al Tesoro con Bill Clinton prima di Summers, globalista e liberalizzatore. Ma proprio perché non si può più tornare allo spendi e spandi, per impedire che il macigno del debito soffochi ogni ripresa, bisogna prendere decisioni coraggiose e innovative. Quali? Qui le strade si biforcano, anche all’interno della cultura economica tedesca.
Secondo Sinn, in questi anni è avvenuto un salvataggio nascosto dei paesi indebitati da parte della Banca centrale europea. Questa operazione si nasconde in un meccanismo solo apparentemente tecnico chiamato “Target”, acronimo per definire il sistema di compensazione dei pagamenti. Il guaio, argomenta Sinn, è che gli squilibri interni alla zona euro sono permanenti, si manifestano nel divario delle bilance dei pagamenti interne all’area e nei disavanzi pubblici che generano debito. In sostanza, la Bce copre un divario massiccio provocato dai paesi mediterranei e dall’Irlanda compensato dai paesi in surplus, a cominciare dalla Germania. Domenica scorsa sul Corriere della Sera, il banchiere Antonio Foglia ha contestato l’analisi sostenendo che il Target ha consentito alle banche tedesche di scaricare le proprie perdite a scapito delle banche più “virtuose” (tra le quali le italiane): in questo caso la Bce avrebbe funzionato da ciambella di salvataggio. Vero, ma Sinn replica che la Banca centrale europea è una istituzione pubblica e, in caso di crisi o default, a pagare sarebbero sempre i contribuenti, tedeschi in primo luogo. La sua soluzione è il modello americano. Negli Stati Uniti il Target system si chiama Isa, Interdistrict Settlement Account, e impedisce l’indebitamento a fondo perduto come avviene invece nell’Eurolandia perché ogni anno debiti e crediti si compensano, in quanto chi si indebita deve fornire garanzie reali, cioè oro, riserve, titoli federali. Anche una regolamentazione del genere, tuttavia, non intacca lo stock accumulato dai paesi che superano la quota magica di Maastricht: il 60 per cento del prodotto interno lordo. Peggio stanno Grecia e Italia, ma nel plotone ci sono ormai quasi tutti; dunque, esiste un interesse comune a trovare una soluzione concordata. E su questo punto, metodologico, anche Sinn è d’accordo. Meno sulla ipotesi avanzata due anni fa dai suoi colleghi del Consiglio degli esperti economici che fa capo al Bundestag e alla cancelleria. La proposta, rilanciata sia pur con prudenza dai socialdemocratici tedeschi in campagna elettorale, prevede una patto europeo per il rimborso (European Redemption Pact) basato sulla costituzione di un fondo nel quale far confluire il debito superiore al 60 per cento che verrebbe finanziato con emissioni di titoli a tassi d’interesse più bassi rispetto a quelli di mercato grazie alle speciali garanzie della Bce.
Gli Eurobond rientrano dalla finestra? Non del tutto. Certo, si tratta sempre di mutualizzare una parte del debito, ma i singoli governi ne resterebbero responsabili, impegnandosi ad azzerarlo in 25 anni, come prevede del resto il Fiscal compact. Nella loro proposta i “saggi”, ipotizzano scenari puntuali per ciascun paese. L’Italia dovrebbe trasferire poco meno di mille miliardi e per questi pagherebbe ogni anno al Fondo di redenzione circa il 3 per cento del prodotto lordo. Gli interessi sul debito nazionale sarebbero inferiori a quelli di mercato e più basso l’attivo primario netto (differenza tra entrate e spese pubbliche), ciò vuol dire un allentamento dell’austerità, anche se resta inteso che non si potranno più finanziare in deficit le spese correnti. I vantaggi sembravano consistenti in piena crisi dei debiti sovrani, ma oggi appaiono inferiori e ciò riduce sia l’urgenza sia il vantaggio di meccanismi del genere. Errore, dice Sinn: la calma odierna è solo apparente. Non solo bisogna prevedere quel che accadrà quando gli Stati Uniti, raggiunto l’obiettivo di un tasso di disoccupazione vicino al 6 per cento, cominceranno a rialzare il costo del denaro; ma la stagnazione europea diventa essa stessa una fonte di crisi generale. Come farà l’Italia che non cresce a ridurre il debito? Anzi, peggio ancora: fino a che punto sarà in grado di onorarlo? Interrogativi senza risposta che aprono scenari inquietanti. Sinn ha il merito di aver sollevato la cortina mediatico-politica che sta nascondendo il fuoco sotto la cenere. Un assist per Enrico Letta: a meno che non s’illuda di ridurre il debito con quei pochi tagli e taglietti, potrebbe far proprio il suggerimento di Sinn e rilanciarlo a Bruxelles. Poi vedremo che ne pensa Angela Merkel.
© - FOGLIO QUOTIDIANO - 14 gennaio 2014
Solo Letta e Saccomanni sembrano non accorgersi della realtà e galleggiano nell'acquittrino! Il bello è che nello stagno ci siamo noi, con le nostre famiglie.
Debito bene, ma anche male
Il falco tedesco Sinn, la (falsa) bonaccia sullo spread e lo stock di debito in aumento. Che fare?
Una conferenza europea sul debito sovrano, per affrontare il problema dello stock, cioè la quantità di debito accumulato nell’area euro che le politiche di austerità da sole non riusciranno mai a smaltire. La proposta arriva da fonte inaspettata, niente meno che il presidente dell’Ifo, l’Istituto di ricerche economiche di Monaco, sì, proprio Hans-Werner Sinn, l’economista che con quella barba sembra un capitano di lungo corso, un bastione della ortodossia tedesca, implacabile fustigatore dei peccatori mediterranei (lo scorso fine settimana ha scandalizzato tutti in una conferenza a Philadelfia mettendo sul banco degli accusati ancora una volta la Grecia). L’idea è stata rilanciata da Wolfgang Münchau del Financial Times il quale, nel suo blog eurointelligence.com, ricorda di non essere quasi mai d’accordo con Sinn, ma se non si trova una soluzione, la stagnazione di lungo periodo evocata da Larry Summers diventa realtà.
Il dibattito sembra inattuale perché siamo in piena bonaccia: lo spread della Germania con l’Italia e la Spagna viaggia attorno ai 200 punti base e il costo del debito è modesto, anche perché la Banca centrale europea mantiene i tassi d’interesse vicini a quota zero. Fabrizio Saccomanni, ministro italiano dell’Economia calcola un risparmio di 5,3 miliardi e stappa champagne. Una buona notizia, però vengono pur sempre pagati ben 83,9 miliardi di euro (stima del settembre 2013). Il Sole 24 Ore ha precisato che a rigore il vero risparmio si fa sui titoli ancora da emettere e i suoi calcoli sono ben più modesti: 1,5 miliardi, quanto basta per compensare il mancato incasso dell’Imu.
Il problema oggi, per l’Italia come per la Spagna e la Grecia si chiama disoccupazione. Vero, dice l’Ifo, ma attenzione proprio questo rischia di diventare la miccia per la nuova crisi. Il rapporto dell’Istituto tedesco definisce insostenibili i livelli di disoccupazione spagnoli e greci, mentre per la congiuntura economica italiana usa un aggettivo che non lascia equivoci: “Catastrofica”. I nemici dell’austerità, a cominciare dall’Amministrazione americana, chiedono di allentare le redini: è quel che ha detto il segretario al Tesoro, Jack Lew, nel suo viaggio a Berlino. Sinn, al contrario, è un sostenitore del rigore finanziario e, tra l’altro, ha trovato un aiuto in Robert Rubin, il banchiere che è stato segretario al Tesoro con Bill Clinton prima di Summers, globalista e liberalizzatore. Ma proprio perché non si può più tornare allo spendi e spandi, per impedire che il macigno del debito soffochi ogni ripresa, bisogna prendere decisioni coraggiose e innovative. Quali? Qui le strade si biforcano, anche all’interno della cultura economica tedesca.
Secondo Sinn, in questi anni è avvenuto un salvataggio nascosto dei paesi indebitati da parte della Banca centrale europea. Questa operazione si nasconde in un meccanismo solo apparentemente tecnico chiamato “Target”, acronimo per definire il sistema di compensazione dei pagamenti. Il guaio, argomenta Sinn, è che gli squilibri interni alla zona euro sono permanenti, si manifestano nel divario delle bilance dei pagamenti interne all’area e nei disavanzi pubblici che generano debito. In sostanza, la Bce copre un divario massiccio provocato dai paesi mediterranei e dall’Irlanda compensato dai paesi in surplus, a cominciare dalla Germania. Domenica scorsa sul Corriere della Sera, il banchiere Antonio Foglia ha contestato l’analisi sostenendo che il Target ha consentito alle banche tedesche di scaricare le proprie perdite a scapito delle banche più “virtuose” (tra le quali le italiane): in questo caso la Bce avrebbe funzionato da ciambella di salvataggio. Vero, ma Sinn replica che la Banca centrale europea è una istituzione pubblica e, in caso di crisi o default, a pagare sarebbero sempre i contribuenti, tedeschi in primo luogo. La sua soluzione è il modello americano. Negli Stati Uniti il Target system si chiama Isa, Interdistrict Settlement Account, e impedisce l’indebitamento a fondo perduto come avviene invece nell’Eurolandia perché ogni anno debiti e crediti si compensano, in quanto chi si indebita deve fornire garanzie reali, cioè oro, riserve, titoli federali. Anche una regolamentazione del genere, tuttavia, non intacca lo stock accumulato dai paesi che superano la quota magica di Maastricht: il 60 per cento del prodotto interno lordo. Peggio stanno Grecia e Italia, ma nel plotone ci sono ormai quasi tutti; dunque, esiste un interesse comune a trovare una soluzione concordata. E su questo punto, metodologico, anche Sinn è d’accordo. Meno sulla ipotesi avanzata due anni fa dai suoi colleghi del Consiglio degli esperti economici che fa capo al Bundestag e alla cancelleria. La proposta, rilanciata sia pur con prudenza dai socialdemocratici tedeschi in campagna elettorale, prevede una patto europeo per il rimborso (European Redemption Pact) basato sulla costituzione di un fondo nel quale far confluire il debito superiore al 60 per cento che verrebbe finanziato con emissioni di titoli a tassi d’interesse più bassi rispetto a quelli di mercato grazie alle speciali garanzie della Bce.
Gli Eurobond rientrano dalla finestra? Non del tutto. Certo, si tratta sempre di mutualizzare una parte del debito, ma i singoli governi ne resterebbero responsabili, impegnandosi ad azzerarlo in 25 anni, come prevede del resto il Fiscal compact. Nella loro proposta i “saggi”, ipotizzano scenari puntuali per ciascun paese. L’Italia dovrebbe trasferire poco meno di mille miliardi e per questi pagherebbe ogni anno al Fondo di redenzione circa il 3 per cento del prodotto lordo. Gli interessi sul debito nazionale sarebbero inferiori a quelli di mercato e più basso l’attivo primario netto (differenza tra entrate e spese pubbliche), ciò vuol dire un allentamento dell’austerità, anche se resta inteso che non si potranno più finanziare in deficit le spese correnti. I vantaggi sembravano consistenti in piena crisi dei debiti sovrani, ma oggi appaiono inferiori e ciò riduce sia l’urgenza sia il vantaggio di meccanismi del genere. Errore, dice Sinn: la calma odierna è solo apparente. Non solo bisogna prevedere quel che accadrà quando gli Stati Uniti, raggiunto l’obiettivo di un tasso di disoccupazione vicino al 6 per cento, cominceranno a rialzare il costo del denaro; ma la stagnazione europea diventa essa stessa una fonte di crisi generale. Come farà l’Italia che non cresce a ridurre il debito? Anzi, peggio ancora: fino a che punto sarà in grado di onorarlo? Interrogativi senza risposta che aprono scenari inquietanti. Sinn ha il merito di aver sollevato la cortina mediatico-politica che sta nascondendo il fuoco sotto la cenere. Un assist per Enrico Letta: a meno che non s’illuda di ridurre il debito con quei pochi tagli e taglietti, potrebbe far proprio il suggerimento di Sinn e rilanciarlo a Bruxelles. Poi vedremo che ne pensa Angela Merkel.
© - FOGLIO QUOTIDIANO - 14 gennaio 2014
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Un grande successo: Grazie!
Cari AMICI del G.A.S.- Gruppo AMICI per lo SPORT, Esino Volley, Titolari Touring Hotel ed Amministrazioni Chiaravalle, Montemarciano, Monsano e Monte San Vito: voglio soltanto dirvi GRAZIE.
Ho partecipato a tutte le riunioni indette dal G.A.S. ma, purtroppo, ho dovuto seguire l’evento rinchiuso in casa costretto da un febbrone da cavallo ma questo non mi ha impedito di tenermi aggiornato sul successo ottenuto dalla manifestazione incentrata sullo Sport impostato nel perseguire due basilari principi della nostra vita:
1) ogni confronto è momento di crescita;
2) lo Sport come Pensare agli Altri e quindi in completa sintonia con il messaggio TELETHON il cui logo ha costantemente primeggiato su tutte le varie immagini della stessa manifestazione.
1) ogni confronto è momento di crescita;
2) lo Sport come Pensare agli Altri e quindi in completa sintonia con il messaggio TELETHON il cui logo ha costantemente primeggiato su tutte le varie immagini della stessa manifestazione.
Grandissimo è stato il mio dispiacere per non essere stato presente con Voi nel salutare ed applaudire la irrefrenabile Signora Federica Lisi Bovolenta, la sua inseparabile amica Novella Cristofoletti e la dolcissima simpaticissima Samantha Camparada, moglie del nostro ex. Atleta Falconarese Leondino Giombini: pensate, mi sono emozionato nel vedere il servizio su TG 3 Marche commentato dalla bravissima giornalista Nicoletta Grifoni.
Ho osservato le tante foto che avete inserito su f.b. certamente tutte belle ma sono stato molto colpito da quelle che rappresentavano momenti di gioco del Sitting<>Volley che, sono certo, avete inserito nell’evento proprio per far comprendere, sempre più e meglio alla comunità, quanto sia Importante<>Determinante la vera INTEGRAZIONE fra Diversamente Abili<e>Normodotati: la foto che immortala una fase di gioco con entrambe le squadre che indossano la stessa maglietta bianca con scritta verde CIP Marche - Comitato Italiano Paralimpico Marche - è veramente esplicativa/persuadente: centrata scelta di messaggio/immagine.
Infine la nostra collaboratrice del Comune di Falconara signora Alessandra Silenzi, che ha partecipato con passione per tutto il periodo sin dalle prime riunioni, mi ha detto che tutte le società sono rimaste fino alla fine per la premiazione: reputo questo atteggiamento degli oltre 300 ospiti,provenienti da varie città che hanno visitato i nostri territori, come un segno di stima e ringraziamento (non parole ma fatti concreti) verso l’importanza della manifestazione.
Infine tengo a sottolineare lo storico momento di cooperazione tra i vari comuni del territorio: Chiaravalle, Falconara, Montemarciano, Monsano, Monte San Vito e di due diversi Sport come Pallavolo<e>Calcio a 5: solo insieme si vince..!!!
Grazie, Grazie, GRAZIE . . .
Vostro affezionato “AMICO” Vice Sindaco Assessore allo Sport Clemente Rossi
Vostro affezionato “AMICO” Vice Sindaco Assessore allo Sport Clemente Rossi
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Europa: Successo o Errore?
A molti è, forse, sfuggita una intervista imponente e molto importante apparsa su qualche giornale, diremmo di controinformazione.
Anzi è quasi un saggio, pubblicato in tre puntate, a firma del Professor Giuseppe Guarino.
Guarino, per chi non lo sapesse, è Professore Emerito dell'Università La Sapienza, Socio dell'Accademia dei Lincei, ha anche insegnato nelle Università di Sassari, Siena, Napoli; Ministro delle Finanze nel 1987 e dell'Industria nel 1992; collega di Francesco Cossiga; esaminatore di Giorgio Napolitano e Mario Draghi, per restare ai più noti.
Queste notazioni sono necessarie, per delineare il personaggio, tra l'altro europeista convinto della prima ora.
E proprio ieri ha tenuto sul tema un Convegno all'Università di Pescara "Gabriele D'Annunzio" dal titolo (incredibile) "Un golpe di nome Euro"!
Lontano da me il tentativo di spiegare compiutamente il suo pensiero. Non ne sarei, onestamente, in condizione.
Vi offro solo alcune pillole; sperando, magari, di averlo ospite tra noi, in un futuro ravvicinato.
Egli è molto anziano, ma in barba all'età da dei punti a molti giovani, compresi qualcun altro malato di giovanilismo. La tentazione dei soliti noti potrebbe essere anche quella di deriderlo o, più probabimente, far cadere le sue affermazioni nel silenzio. Forse farebbero meglio a provare di confutare le sue affermazioni o il suo ragionamento.
1° Pillola:
L'Atto Unico Europeo e il Trattato dell'Unione Europea, documenti fondanti dell'Europa Unita, si limitavano a creare un Mercato Unico, non ancora una Unione Economica vera e propria. Questa, che doveva essere il vero obiettivo finale, avrebbe dovuto essere il risultato di un processo, al termine del quale si sarebbe dovuto gradualmente giungere anche alla adozione della moneta unica.
2° Pillola:
Attraverso il varo del Regolamento il 1466/97, la Commissione Europea, vera regista più o meno occulta dell'operazione, approfittando della fortissima volontà, ma anche della loro scarsa consapevolezza, dei Governi dell'epoca, unitamente alle loro sostanziali debolezze e incertezze politiche, vincolò in maniera decisiva le leve di politica economica dei singoli stati, spossessandoli, di fatto, della loro sovranità in materia.
3° Pillola:
La creazione della moneta unica (l'Euro) nacque subendo il dictat della Germania, poiché doveva somigliare, in tutto e per tutto (come un dogma), al Marco. Che significava? Di fatto in cima all'obiettivo, nonché al metodo per il suo raggiungimento, si collocava una estrema rigidità: a tutti i costi si sarebbe dovuto combattere l'inflazione. Ogni altro elemento era da considerarsi secondario, complementare o successivo.
Di qui le condizioni più rigorose e gli aspetti più eclatanti. Un sottile, cioè, e angusto sentiero da percorrere: Il deficit pubblico annuale sotto il 3% e il suo indebitamento complessivo al 60% rispetto al Pil. (meno il Regno Unito, che si dichiarava fuori dall'Euro).
Cioè prima che ci si accordasse sulle caratteristiche della moneta, a seconda delle variabili e delle dinamiche economiche possibili e realistiche dei singoli stati, sono state concordate le misure, i limiti, i rapporti che avrebbero condizionato l'intera architettura del sistema.
4° Pillola:
Ne discende che ad ogni singolo Stato è, in sostanza, fatto divieto di indebitarsi, anche se un equilibrato indebitamento può essere utile o necessario per cogliere occasioni produttive.
Viene, di fatto, preclusa la possibilità di crescita, non sfruttando, ad esempio, inventiva, rischio di impresa, know tecnologico o culturale.
Solo chi si trova in quei famosi parametri citati può avere occasioni di investimento, usando un eventuale surpls per avviare o procedere nella crescita.
Questo è ciò che sta accadendo, secondo Guarino.
Cioè l'Italia o Paesi similari non ha la possibilità oggettiva di tentare di percorrere la via dello sviluppo, se non nella misura e nei tempi suggeriti, o imposti, dalla Commissione Europea.
Questi Paesi, tra cui l'Italia, sono in mano delle Economie più forti, nell'ambito dello stesso quadrante europeo.
Alcuni economisti all'epoca, tra cui anche italiani, come Guido Carli, si accorsero della trappola in cui il sistema rischiava di accartocciarsi e introdussero il meccanismo (o il ragionamento) delle linee tendenziali.
Cioè non è importante che raggiunga quei rigidi parametri. E' virtuoso, e per certi aspetti, decisivo, che tu ti avvicini o ti muova in direzione di quei parametri, al fine di essere in diritto o in condizione di liberare risorse interne o comunitarie spendibili e introdurle nel ciclo degli investimenti.
Il ragionamento è quello di stabilire un metodo di flessibilità che non penalizzi i vari attori nazionali.
Ma è proprio nel calcolare o nello stabilire una serie di coefficienti e di livelli da raggiungere (è proprio quello che sta accadendo in questi giorni) che si sfoga, in un tripudio burocratico, tutta la tecnocrazia europea.
Alza o abbassa, chissà forse a proprio piacimento, semafori verdi, gialli o rossi, nei riguardi delle varie economie nazionali.
In realtà la Commissione sembra obbedire al dictat dei più forti, economicamente o politicamente.
In una parola, l'Europa dei tecnocrati e dei ragionieri sembra completamente avulsa dalle dinamichde reali, dalla cultura dei popoli, dalla loro storia, dalle esigenze della colletività.
Una Europa che dirige, senza interpretare.
Una Europa che altezzosa indica la strada del futuro, senza importarsi del quadro di consapevolezza dei cittadini.
Una Europa senza consenso vero dei suoi cittadini.
A larghe linee e in maniera molto semplificata è questa la fotografia di Guarino.
Il grande accusato è il Regolamento 1466/97 che attuò, in senso tecnico, un vero e proprio Golpe, inacanalando la gestione economica e politica in stretti e angusti limiti, quasi in un percorso labirintico.
Il trattato originario stabiliva invece che il conseguimento dello sviluppo economico avrebbe dovuto essere affidato alle politiche economiche di ciascuno degli stati membri, che avrebbero dovuto tener conto delle condizioni vere e reali delle economie dei propri paesi.
Le politiche economiche avrebbero potuto utilizzare all'occorrenza l'indebitamento, entro determinati limiti, per realizzare l'obiettivo finale.
Il regolamento, invece, abroga tutto questo e le politiche economiche degli stati sono state di fatto cancellate.
All'obiettivo dello sviluppo è stato sostituito un risultato consistente nella partà di bilancio a medio termine.
Secondo il Trattato originario è la gestione della moneta a doversi adeguare alla realtà.
Secondo il Regolamento è la realtà che deve adeguarsi alla moneta.
Ma che fare oggi?
Il Professore si cimenta, senza iattanza e senza avere la verità in tasca, in possibili soluzioni o vie di uscita.
La fa timidamente, ma con serietà.
Esse sono:
1) Derobotizzare il sistema. Restituirlo cioè alla discussione e al confronto fra gli Stati, in particolare gli Stati fondatori;
2) Stilare un nuovo accordo fra tutti gli Stati membri e e offrirlo alla riflessione generalizzata di tutti i cittadini, attraverso dibattiti, confronti, referendum consultivi o propositivi;
3) Se questa via fosse troppo impervia o troppo lunga rispetto alle esigenze o alle dinamiche in atto, mondiali o europee, potrebbe essere opportuno lavorare affinché possa essere raggiunto un accordo da un numero limitato ma significativo di Stati europei per uscire, anche temporaneamente dall'Euro.
Se si riuscisse , partendo da un piccolo gruppo, a creare un potere politico unico che gestisca una moneta comune, su aprirebbe un sentiero.
Forse se ne aggiungerebbero lungo il cammino altri e l'aggregazione di un piccolo gruppo renderebbe più facile la sperimentazione di forme organizzative anticipatrici di quelle definitive.